Custom made. Ovvero la tendenza alla personalizzazione di massa.
Una delle parole che definiva il lusso, come abbiamo analizzato qualche tempo fa, è Custom Made, il Su Misura. Buffo che io l’abbia scelto anche per il mio sito. Ma non è a caso, perchè identifica un servizio od un prodotto che si posizionano subito come qualitativi, unici, personalizzati. Esattamente come i testi che redigo e preparo per i miei clienti. Ho copiato, ammetto…
Nella moda il Su Misura/Custom made/Made tu measure/Made to order appartiene soltanto ai marchi più ricercati. Ricercati ma globali. Incoerenza o strategia? Assolutamente la seconda. In qualsiasi città ci si trovi, minimamente avanzata e civilizzata – intendo non nel terzo mondo – le vie dello shopping si somingliano incredibilmente. Vetrine simili, stessi marchi, stessa offerta. Rassicurante per il consumatore. Spaventoso allo stesso tempo. Vincono i brand globali, quelli che sono in grado di offrire prodotti standardizzati, esteticamente piacevoli e qualitativamente infimi (ma questa caratteristica pare non essere importante, anzi, basta guardare la comunicazione Ikea in cui si dichiara in modo sereno che siamo fatti per cambiare).
La personalizzazione qui non esiste.
Esiste il sentirsi parte di una comunità, vestirsi allo stesso modo, magari non uguale ma con lo stesso gusto. Partecipare all’esperienza shopping, dimostrarlo con il proprio look.
Ecco allora che il Custom Made diventa una variante curiosa, unica, un elemento di distinzione. A partire dalle semplici T-shirt, come ha fatto Balenciaga – brand di nicchia e ricercato dai più raffinati cultori del fashion – in una interessante strategia di comarketing con Colette. All’interno del concept store si poteva creare da sé una maglietta griffata ma assolutamente unica, con tanto di app e macchina stampante in vista.
Esperimento riuscito a quanto pare, vista anche la copertura mediatica raggiunta: il famoso blog Highsnobiety ha creato un video della performace, mentre il sito stesso di Colette presentava l’happening con comunicazione dedicata.
Questo è un esempio borderline, in cui il prodotto di massa si concede il lusso di un gioco, ironico e macchiavellico, il pezzo più democratico e cheap per eccellenza diventa unico perchè fatto da sé. Ma sono molti a dedicarsi alla personalizzazione, i primi della lista Nike ad Adidas (le calzature sono icone di moda, e semplici da offrire al gioco del ‘fai da te’).
I brand del lusso invece presentano la personalizzazione dei propri prodotti come una possibilità ricercata ed unica di avere un abito griffato realizzato con la perfezione sartoriale che ci si aspetta da un artigiano.
Sono poche le aziende che offrono questo servizio, perchè prevede una linea di produzione dedicata, personale e risorse specifiche che non operano nella procedura standard, ma anzi fanno della loro operatività singolare un valore aggiunto. Ecco quindi che il costo del prodotto finale non può che essere alto. Non ha importanza perchè stiamo parlando di pezzi unici e quindi dedicati ad un pubblico economicamente abbiente. Fendi offre la possibilità di realizzare versioni personalizzate dei propri accessori, e come loro sono molti ad aggiungere alla collezione standard l’opzione del sul misura.
Concludo citando l’ultimo articolo di Annamaria Testa, che esamina diversi ambiti di prodotto e soprattutto affronta l’argomento con una prospettiva di business, la mass-customization, come l’opzione che sta divenendo più importante e popolare tra i produttori per il loro – e nostro – prossimo futuro.